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Inefficienze nella fashion industry: quali pesano sul bilancio?

Scritto da Exekon | 24 aprile 2019

La fashion industry è per definizione il regno dell’effimero, in perenne mutazione e cambiamento come le aspettative e l’orizzonte estetico della clientela. In più, la globalizzazione e la diffusione delle tecnologie digitali hanno impresso una notevole accelerazione al cambiamento.La tendenza è ad avere nell’armadio i capi per un tempo sempre inferiore, scambiarli, venderli e acquistarne di nuovi, grazie alle possibilità della sharing economy. La fashion industry è sempre più “fast” e spesso una collezione cambia nel corso della già breve stagione durante la quale viene proposta, proprio per assecondare i gusti dei consumatori.

 

La fashion industry non aspetta

Dunque la prima possibile inefficienza per chi produce moda consiste in una gestione poco efficiente del fattore tempo che si traduce in mancata flessibilità. Lentezza nel rispondere a una proposta da parte di un committente, processo produttivo aggravato da attività che si potrebbero evitare, errori nella realizzazione dei capi che vanno identificati e poi corretti, dubbi e scarsa chiarezza nei passaggi tra le diverse fasi di realizzazione, personale che non riesce a esprimersi al meglio: sono tutte inefficienze che si accumulano e pesano sul conto finale. Un ritardo nella consegna spesso non è accettabile per i brand, ma non si tratta solo di questo: chi produce deve salvaguardare i propri margini, cioè conciliare la flessibilità imposta dal committente con un ciclo di produzione fluido che abbia costi prevedibili e, possibilmente, competitivi.

 

Inefficienze di produzione

Le inefficienze legate alla produzione vera e propria vanno sempre considerate sia dal punto di vista della singola attività sia da una prospettiva più ampia, capace di integrare tutte le fasi di lavorazione per trarne vantaggio. È ciò che contraddistingue l’industria 4.0: una fase produttiva presa isolatamente può chiudersi in maniera ineccepibile, ma alla fine i costi di produzione possono comunque essere troppo elevati. Il passo successivo è la capacità cogliere in maniera oggettiva, guardando dati reali in tempo reale, tutto il ciclo di produzione per integrarlo e renderlo efficiente a un livello superiore. L’integrazione presuppone poi la capacità di ricondurre un processo complesso ad alcune costanti identificabili che si possono combinare in modo diverso per arrivare a un risultato.

Nella fashion industry è sempre tutto nuovo?

L’inefficienza spesso si nasconde proprio qui, cioè nel gestire ogni commessa come se fosse una assoluta novità, mentre spesso si tratta solo di una organizzazione diversa di elementi noti. Per le aziende più grandi l'organizzazione ha un impatto ancora più forte sui costi di produzione, perché all'attività lavorativa svolta internamente si somma quella dei terzisti. Se le informazioni che viaggiano sono imprecise e se il committente non è aggiornato costantemente sull'avanzamento del lavoro o sul rating over all del fornitore, con le scadenze che incombono è difficile prendere decisioni e mantenere le promesse. Fatalmente i costi salgono.

Di conseguenza, una fabbrica che rimane ancorata a un modello produttivo ormai fuori mercato cade inevitabilmente in una serie di inefficienze che vengono superate da chi fa innovazione ed è capace di integrare davvero tutto il ciclo.

 

Una fashion industry flessibile

Una prospettiva di questo tipo incide anche in maniera significativa sulla flessibilità perché le richieste del mercato oggi sono molto più complesse di quelle di un tempo. L’uomo da solo non basta, occorre l’aiuto della tecnologia. Ciò che un tempo veniva considerato efficiente, oggi non lo è più. Una commessa non è semplicemente un unico flusso di lavoro da svolgere in un tempo determinato. La collezione subisce variazioni nel corso della stagione, i tempi si dilatano e si comprimono. Aumentano le variabili e di conseguenza il rischio di creare inefficienze.

Ampliando ancora la visione per comprendere tutti questi aspetti, l’attenzione si sposta sulla competitività generale dell’impresa, sulla capacità di rimanere sul mercato. In Italia la moda ha sempre lavorato per distretti caratterizzati da un know-how diffuso e di livello elevato disponibile entro un territorio ristretto. Oggi si ragiona in maniera diversa: i distretti ci sono ancora, guai a trascurarli o disgregarli, ma si ridefiniscono in un’ottica globale, a tutto vantaggio della competitività. Non possedere il livello di innovazione richiesto per farne parte è già, e ancora di più sarà nell’immediato futuro, una grave inefficienza e un motivo di esclusione per gli attori del sistema produttivo della moda. Non possiamo permetterlo.